mercoledì 24 dicembre 2014

La triste storia di Natale.

C’era una volta un principe che dire brutto è dire poco, e dire poco è dire poco. Era brutto, ma così brutto, che sua mamma sin dalla nascita si rifiutò di dargli un nome. Lo chiamava “ehi”, “coso”, oppure “senti”, pur di non chiamarlo per nome.

Il principe era talmente brutto che nemmeno i rospi volevano baciarlo. I rospi lo guardavano e si giravano dall’altra parte, mostrando tutto il loro sdegno e disinteresse. I rospi, a volte, sanno essere crudeli.

Il principe bruttissimo nacque dall’amore clandestino tra la Regina Castellanza e Zio Cane, il focoso allevatore di animali delle regie stalle. Un amore contrastato, burrascoso. Un amore pieno di antitesi, anafore e anacoluti.

Fu concepito in una gelida notte di un gelido inverno nelle gelide stalle delle gelide vacche. E passati i canonici quattro mesi di gestazione, il principe nacque vagendo.

All’apparenza bellissimo, con quei capelli biondi e quegli occhi azzurro mare, il principe a guardarlo meglio era invece bruttissimo, con quei capelli scuri e quegli occhi marrone fango. Era brutto come la morte, la peste e la disperazione. Brutto.

Il piccolo principe bruttissimo crebbe circondato dall’affetto dei suoi cari. Ben presto però si rese conto che non si trattava di CARI, bensì di CANI.

I suoi genitori invece, tennero la nascita segreta. Se qualcuno, disgraziatamente, osava chiedere se per caso avessero dato i natali ad un bruttissimo principe nato da un amore clandestino, la Regina Castellanza e Zio Cane erano sempre pronti a negare tutto. Mai un briciolo di esitazione. Tentennamenti zero, insicurezze zero.

Tentennamenti-insicurezze: zero a zero.

All’età di un anno lo vestirono di tutto punto e lo rinchiusero nella torre del castello regio, con una valigia piena di cibo, vestiti e vettovaglie. E in quella torre il principe bruttissimo crebbe da solo per anni, domandandosi cosa fossero quelle dannate vettovaglie.

Nel giro di tre anni il principe riuscì a compiere i suoi diciotto anni, che festeggiò da solo chiuso nella torre, senza nemmeno un party in discoteca o una torta con modella. Niente. Festeggiò tutto solo, al freddo, al gelo e all’addiaccio.

Era triste, isolato, malandato, malvestito, televisivamente poco interessante, guardingo, diffidente e soprattutto brutto.

Passava tutto il giorno chiuso nella sua torre a chiedersi come mai fosse nato così brutto, osceno e addirittura repellente, se osservato attentamente da una certa angolazione. E pensare che lui, invece, avrebbe avuto tanto da dire: parole come “orologio”, “scolopendra”, “valvassori”, o meglio ancora “borotalco”, parola che piace da sempre a grandi e piccini.

Un giorno però la famosa Maga Marrana lo incrociò nella sua sfera di cristallo, una sfera Swarovski ricevuta in dono da Mago Teodoro, il mago del merletto.

Chi è costui che vedo in questa sfera?, chiese preoccupata.

Il corvo Paolino, il servo muto, le disse: Come sai, io non posso parlare perché sono muto.

Da queste parole Maga Marrana capì immediatamente che il ragazzo rinchiuso nella torre non era altri che il brutto principe illegittimo nato da un amore clandestino in una stalla sporca e forse anche abusiva.

Maga Marrana, indecisa se chiamare i Nas o la Finanza, decise infine di aiutarlo. Salì in groppa alla sua magica scopa e volò sui cieli della città alla ricerca della torre.

Com’era bella la città vista dall’alto: case, palazzi, piazze, industrie petrolchimiche, grattacieli, travestiti, chiese, monumenti e automobili parcheggiate in doppia fila.

Lei vedeva la città dall’alto e la città vedeva la maga dal basso.

Un bimbo, osservandola in volo, disse:

Mamma guarda, la Befana!

Maga Marrana, indispettita, lo trasformò in verruca. Il povero bimbo fu costretto a rimanere appiccicato al piede di un nuotatore per tutto il resto della sua vita. Il nuotatore tra l’altro era russo, e quindi di piedi ne aveva addirittura due. Una punizione esemplare.

E volando volando riuscì a individuare la torre, circondata da una fitta coltre di nuvole da cui pioveva pioggia. A secchi. A cascate. A dirotto.

La maga affrontò la tempesta, salì le scale della torre e bussò alla porta.

Toc toc.
Chi è?
Sono Maga Marrana.
Non compro enciclopedie.
Non voglio venderti nulla. Sono qui per salvarti!
Non apro ai Testimoni di Geova.
Non sono un Testimone di Geova. Sono Maga Marrana.
Potevi dirlo prima!
Su, principe bruttissimo, apri questa porta.
Non ho le chiavi.
Allora ci penso io.

Maga Marrana, così, pronunciò la parola fatata: SVITOL!

La porta si aprì magicamente, in silenzio. E finalmente si videro in faccia. Il principe era veramente brutto, ma la maga non era certo un capolavoro: era piena di porri, nei, brufoli, porri nei brufoli, voglie, macchie e strane forme di zebedei. Aveva la faccia rovinata dalla giovinezza e il corpo devastato dalla vecchiaia. Indossava scarpe usate, comprate in saldo e nemmeno di marca. E poi la scopa, in realtà, non lo era.

Principe, disse, e ora che si fa?
Che ne so, sei venuta tu! Tu che vuoi?
Volevo solo liberarti dalla prigionia.
Maledetta vecchia, disse il principe, sei più inutile di un dente del giudizio! Io qui sto da dio!
Non mi dirai che ho affrontato un lungo viaggio per niente?
E se anche fosse?
Sarei costretta a usare contro di te la mia magia!
Secondo me tu usi il solito trucco del coniglio.
Lo vedremo!, disse estraendo di colpo la sua bacchetta magica, dal quale si liberò un fulmine dal quale si liberarono degli schiavi dai quali si liberarono delle cavallette dalle quali si liberarono delle sostanze velenose che uccisero tutti in un nonnulla senza sporco e incrostazioni.

 

 

 

 

martedì 9 dicembre 2014

La strega Berenice e la maga Berenice.

Alle due estremità del villaggio Uffaperò vivevano la strega Berenice e la maga Berenice.
Berenice odiava Berenice perché Berenice era buona mentre Berenice era cattiva.
L'una detestava l'altra con tutto il cuore mentre l'altra detestava l'una con tutto il cuore.
Berenice mandò a Berenice la sua vice Beatrice, con un cesto di ciliegie, quattro mice e tre camicie.
Berenice, colta alla sprovvista, le spedì insalata mista, percorrendo la via giusta con il vino nella busta.
Berenice fu felice e anche Berenice fu felice.
Al di là delle montagna arrivò di colpo un temporale.
Bastò un fulmine e all'istante morirono tutte di crepacuore.
Che dolore!

giovedì 6 novembre 2014

Robin U e la foresta verde.

Nella foresta di Westwood viveva un tale chiamato Robin U.
Robin U vestiva sempre di nero, ma sempre sempre, tant’è che di notte nessuno lo riconosceva.
Tutti infatti gli dicevano: “Chi sei, oh tu, vestito di nero?”
“Ma come, non mi riconoscete? Sono Robin U!”
“Robin U!”, gli dicevano “Ma perché non ti vesti di un altro colore che così somigli a un bagarozzo?”
Lui ci pensò per un paio d’anni e capì che il commento forse non era del tutto inappropriato.
Così si vestì di verde dalla testa ai piedi.
Ma quando diede inizio alla deforestazione del bosco di Westwood lo scambiarono per una quercia nana e gli tagliarono le gambe.

mercoledì 17 settembre 2014

Cappellino e la grande diga.


C'era una volta una grande distesa artificiale d'acqua artificiale, creata apposta per dissetare il borgo di Cappellino, vicino Nuca di Sotto.

Con quella si irrigavano campi, si riempivano fontane, si lavavano mani e piedi, si riempivano bicchieri e si facevano scherzi sadici, incluso quello che state immaginando, cari bambini.

Un giorno la troppa pioggia fece esondare la diga, cosa che avrebbe potuto provocare disastri di proporzioni immani, ma fortunatamente rimasero tutti illesi almeno finché un cavo elettrico caduto per caso nella diga non fulminò tutti, ma proprio tutti tutti.
 
 

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L'anello magico

Quale regina è degna di definirsi tale se non è carica e oltremodo impreziosita da gioielli di varie carature e misure.
E' qui che comincia la nostra storia, la favola della regina Ragadè e dell'anello magico.
Un anello comune, avremmo detto a prima vista. In realtà quell'anello tutto d'oro tempestato di brillanti della Norvegia non era altro che una vera e propria macchina realizza-desideri.
Presa dalla stanchezza e dalla noia di palazzo, infatti, un giorno la regina disse ad alta voce: "Che noia. Sono presa dalla stanchezza e dalla noia di palazzo. Quanto vorrei per me un dolce cagnolino che mi facesse le fusa come un dolce gattino".
L'anello si illuminò immediatamente di un azzurro splendente, cominciando ad emettere scintille multiformi, una delle quali bruciò il dito della regina sfigurandole per sempre il viso.
Da allora la regina Ragadè fu chiamata regina Facciavacca, e nessuno osò più parlarle da quanto era brutta e inguardabile.
La regina, presa dalla disperazione, riuscì a sopravvivere alla morte, morendo però subito dopo.



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Mille versi per il grasso Muco.


Laggiù nel vecchi Antartide, all’interno del suo igloo congelato, vive il piccolo Muco con la sua famiglia tutta italiana: gli Scrovegni.
Muco è un bravo bimbo e da tempo è anche la principale attrazione turistica del villaggio ghiacciato.
Il bambino infatti sa imitare alla perfezione i versi degli animali.
Il cane: Bau.
Il micio: Miao.
La capra: Bee.
Il cavallo: ìiiii.
La mucca: Bee.
La zanzara: zzz.
La lumaca: LLL, e così via.
Un giorno Muco cadde nell’acqua ghiacciata battendo ogni record di “congelamento di bimbo imitatore di versi di bestie”, record tutt’ora imbattuto.



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Il gatto Micio alla ricerca della mamma.

Questa è la storia del gatto Micio, un tenero gattino di razza strana: era un piccolo Scottish Fold dai richiami Turco Van e con striature persiane e rosso blu.

Un gatto interessante insomma, ma sprovvisto di orecchie.

Quando i suoi padroncini Oklahoma e Tantanoia lo cercavano, lui non poteva sentirli, e tante volte capitava che rimanessero lì ore ad aspettare che il gattino tornasse a casa, ma il gatto Micio non aveva l'orologio, nè sapeva leggere la meridiana, per cui rimaneva lì a bighellonare coi suoi compagnucci pelosi, Sid, Strap, Raglio e Coco Chanè.

Fu proprio dai suoi amici mici che apprese l'importanza di avere una mamma. Così, noncurante dell'affetto e dei richiami di Oklahoma e Tantanoia, decise di intraprendere un lungo viaggio alla ricerca della mamma.

Lungo la strada, accettò un passaggio da Kim Do Lin, un cuoco cinese.

La ricerca della mamma finì.
 
 
 
 
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La vecchina dai modi cortesi.


Solitamente le vecchine sono scostanti e antipatiche.

Sputano, ridono forte, alzano i toni, camminano, vestono di scuro e hanno queste posture improbabili che solo a guardarle si annaspa.

C’era invece, non lontano da qui, una vecchina dai modi cortesi.

Viveva nelle vicinanze, e ogni sera usciva in veranda, fumava il suo sigaro e salutava tutti i passanti, inclusi quelli ferroviari e quelli dei pantaloni per infilarci le cinture di cuoio.

La vecchina ebbe una vita interessante, ma non la ricordava, per cui ciccia, la storia finisce qui.

Tanto alla sua età non è che possa succedere molto altro di interessante.

Se non la morte.
 
 
 
 
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lunedì 4 agosto 2014

Ciccio Marangio e le pecore scherzose.

Chi non ha mai visto una pecora?

È difficile vedere un cervo, un orso bianco, una locusta, una rododendro, ma una pecora è diffusa ovunque.

Le città sono piene di pecore.

Vederle non è difficile se uno è dotato di occhio e di svegliezza.

L’unico essere che in vita non riuscì a vedere una pecora era Ciccio Marangio.

Le pecore burlone che pascolavano nelle vicinanze, amavano giocare a nascondino, per cui Ciccio non le vide mai.

Finché un giorno non assunse un investigatore privato.

Questi scattò talmente tante foto alle pecore che Ciccio saltò dalla felicità, sbattendo contro una trave e morendo di trave dura, una malattia inguaribile.

Povero Ciccio.
Maledette pecore.







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lunedì 28 luglio 2014

Nonno Lino e lo sbadiglio.


Nonno Lino era solito sbadigliare di continuo.

Si alzava la mattina e sbadigliava.

Faceva colazione e continuava a sbadigliare.

Guardava la tv e sbadigliava.

Andava a pranzo al circolo di bocce e sbadigliava.

Faceva un giro sul motorino e sbadigliava.

Tornava a casa da sua moglie e sbadigliava.

Una vera malattia di cui si può morire.

Anche ora.


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lunedì 21 luglio 2014

Il cavallo colorato.

Tutti gli animali hanno mille colori.
La farfalla ha mille colori.
Il camaleonte ha mille colori.
I fiori hanno mille colori. Certo, non sono animali, ma questo non vuol dire.
Il pavone ha mille colori.
E in Francia visse un cavallo dai mille colori.
Padron ‘Ntoni, il suo proprietario, non ci credeva minimamente.
Lo vedeva e non ci credeva.
Come poteva crederci?
Un cavallo dai mille colori?
Ma stiamo scherzando?
Ma che modo è di burlarsi della gente che lavora?
Eh?
E se lo venisse a sapere qualcuno?
Che modi!
Meglio abbatterlo.
Già.
Bang.
Meglio abbatterlo.

lunedì 14 luglio 2014

Pentolino e i buoni propositi.

Pentolino era un uomo buono.
Molto buono.
Un pezzo di pane.
Nessuno era più buono di lui.
In tanti ci avevano provato, ma niente.
Lui era davvero il più buono della Terra.
Ogni mattina si svegliava e diceva tra sé e sé: “Stamattina devo essere ancora più buono!”
E ogni giorno, spadellando nel suo piccolo ristorante, condiva i suoi piatti con amore e affetto, cosa che non fece piacere ai Nas, in un controllo a sorpresa.
Il locale fu chiuso e Pentolino morì per mancanza di ristorante.
Una cosa difficile da mandar giù, almeno quanto un cucchiaio di legno.



 

lunedì 7 luglio 2014

Mora Bella si innamora.

Mora era una ragazza bellissima, con i capelli lunghi e lucenti, gli occhi azzurri così come le sue mani.
Tutti i ragazzi si perdevano continuamente nei suoi occhi, tant’è che la polizia doveva sempre fare gli straordinari per ritrovarli.
Un giorno non troppo lontano, si innamorò di un bel ragazzo moro dai capelli biondi e dalla carnagione molto chiara.
Era chiaro, era ovvio che qualcosa stava accadendo tra di loro.
Qualcosa di magico, qualcosa di sincero, qualcosa di amore.
Il ragazzo moro però nascondeva un segreto: un gatto.
La ragazza, venuta a conoscenza del segreto si uccise dalla disperazione gettando tutta la sua eredità alle ortiche, ora piene di gioielli e denaro contante.


 

lunedì 16 giugno 2014

Il quadro fatato.

Nella lontana Inghilterra del 900 visse un pittore chiamato Whisky, per quanto era bravo e degno di nota.
Dipinse quadri famosi come “Il bue e il convento”, “Cane rovinato”, “Il male dentro”, ma soprattutto “Il quadrato sui due cateti”, la sua opera migliore.
Senza accorgersene, perché cieco sin dalla nascita di sua sorella, cosa che gli causò una brutta bronchite, il 3 settembre si ritrovò tra le mani un pennello fatato, dono della maga Capriola, la maga a cottimo.
Il quadro che ne venne fuori era davvero incredibile, non tanto per le dimensioni, quanto per il prezzo.
Nessuno lo comprò e Whisky morì presto di stenti insieme al suo gatto Birra.
Tutti piansero il gatto.
Proprio tutti.
Povero gatto.

mercoledì 30 aprile 2014

L’asino e lo specchio.


Carabattolo era un asino simpatico e onesto.
Mai un furto, mai una rapina, mai un inseguimento, mai nemmeno un tentativo di corruzione.
Un asino onesto insomma, un asino come pochi.
Ogni sera si metteva davanti al suo desco e si chiedeva: “Ma cos’è il desco?”
E il desco giù a ridere a crepapelle.
Quando l’albero delle nocciole, suo grande amico, gli regalò il suo primo specchio, lui fu felice di prenderlo in dono.
Per sdebitarsi, gli regalò il suo desco, tanto non sapeva cosa farsene.
L’albero lo ringraziò scuotendo le fronde e facendo cadere su Carabattolo migliaia di nocciole.
Carabattolo morì all’istante.
Lo specchio si ruppe e anche da morto, il povero asinello, fu perseguitato da 7 anni di disgrazie.


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